Settetto per archi e fiati
Ogni venerdì, Beethoven è qui. In occasione del 250° anniversario della nascita di Beethoven, ogni settimana la Rivista Svizzera di Musica analizzerà un'opera diversa del suo catalogo. Oggi è la volta del Settimino per archi e fiati in Mi bemolle maggiore.
Un detto tedesco dice che al pazzo piace sedersi tra due sedie. Prende le distanze dal sistema, non si sente obbligato a rispettare le norme e, soprattutto, si pone su un piano di parità con la gente, osservando ciò che la gente dice e riflettendo ciò che fa. Una volta illuminata la sua mente, le sue battute ci fanno riflettere. Lo stesso vale per il Settimino in mi bemolle maggiore, op. 20 di Beethoven, un'opera il cui lato ludico già deliziava i suoi contemporanei. Forse ha persino infastidito il compositore, che in una lettera al suo editore Hoffmeister & Kühnel, in cui gli chiedeva di accelerare la pubblicazione della partitura, scriveva: "Ti prego di far nascere il mio Settimino un po' più rapidamente - la plebaglia lo sta aspettando" (8 aprile 1802). Per molti il tono era certamente popolare, ma era soprattutto il suono di questo ensemble a essere inedito e innovativo per l'epoca. La strumentazione non era quella di un quartetto d'archi o di una banda di fiati, né aveva l'ampiezza di una piccola orchestra sinfonica. Nelle sue lezioni sulla musica del 1857 (la terza parte di Friedrich Theodor Vischers Ästhetik oder Wissenschaft des Schönen), Karl Reinhold Köstlich la considerava un'attrattiva particolare e una vera e propria sfida per ogni compositore: "la strumentazione mista [di un settetto, per esempio] è una forma meno rigorosa, ma la sua realizzazione, per essere perfetta, richiede sia fortuna che talento da parte del compositore" (col. 1056).
La struttura dell'opera, con un totale di sei movimenti, è abbastanza simile a quella della serenata. Il tono è particolarmente gioioso e piacevole, soprattutto nel minuetto, nelle variazioni e nello scherzo, anche se il tutto è preceduto da un'introduzione quasi sinfonica all'inizio del primo movimento; l'inizio del finale, invece, è simile a una marcia funebre. Ancora oggi, è sorprendente che la complessità di alcune parti (gli ottoni in particolare) non abbia diminuito la popolarità dell'opera. Beethoven stesso fece notare al suo editore che il cast era "tutto obbligato (non posso scrivere nulla di opzionale, perché io stesso sono nato con l'accompagnamento obbligatorio)". È in questo modo che egli infonde lo spirito di tutti gli ensemble misti a venire. Il suo settetto divenne presto un modello. Tanto che quando, qualche anno dopo, il mercante di stoffe Johann Tost, amante dell'arte, commissionò a Louis Spohr un nonetto (op. 31), chiese esplicitamente che anche in questo caso "ciascuno degli strumenti si distinguesse secondo il proprio carattere e la propria essenza".
Aufnahme auf idagio
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