Musica sotto regime totalitario

È stata appena pubblicata da Fayard una monografia dedicata al ruolo delle istituzioni musicali e all'attività dei compositori durante il ventennio mussoliniano.

Il compositore Alfredo Casella, sostenitore del regime e attaccato dai conservatori come rappresentante della "musica modernista". Divisione Stampe e Fotografie della Biblioteca del Congresso degli Stati Uniti d'America

In un momento in cui riemergono odiose ombre e subdoli tentativi di relativizzazione, il dovere di ricordare e comprendere gli errori del passato si rivela indispensabile. Le Edizioni Fayard hanno appena pubblicato una monografia, la prima in lingua francese, dedicata al ruolo delle istituzioni musicali e all'attività dei compositori durante il ventennio mussoliniano, in cui vengono ricordate anche le premesse storiche e sociali (unità nazionale ancora recente, dopo l'umiliazione dell'occupazione austriaca; nostalgia e desiderio di riscoprire la grandezza dell'Impero romano; perdita dell'Istria; controllo della Chiesa, generalmente favorevole al regime). Vengono discussi anche alcuni aspetti del fascismo, tra cui la propaganda, che ha plasmato in modo impercettibile ma profondo le menti delle masse popolari. In un sistema in cui l'iscrizione al partito fascista era praticamente obbligatoria per trovare lavoro, in cui il controllo sociale ed ecclesiastico era diffuso, annientando ogni possibilità di opposizione o resistenza, in cui l'individuo doveva scomparire a favore della collettività, in cui la nazione era eretta a mito, l'autocensura era una forma particolarmente perniciosa di repressione, mentre il compromesso e l'ipocrisia erano molto diffusi. Le arti godettero di alcuni anni di libertà estetica e di scambi internazionali, al servizio dell'esaltazione della nuova italianità, e persino della celebrazione morbosa e affascinata della violenza e del sacrificio, prima che l'irrigidimento del mussolinismo negli anni Trenta imponesse maggiore controllo, censura e autarchia, seguito dalle immense "leggi razziali" antisemite. Molti artisti e intellettuali sopportarono più o meno la situazione, abbracciando persino le idee fasciste, prima di prenderne le distanze, almeno ufficialmente, al più tardi dopo la caduta della dittatura - molti continuarono la loro carriera dopo la fine della guerra, come se nulla fosse accaduto. Gli autori di questo libro prestano particolare attenzione a decifrare il complesso e talvolta contraddittorio rapporto tra il regime e alcuni dei più importanti compositori, e descrivono opere emblematiche pro o antifasciste (tra cui, nel caso di queste ultime, Il prigioniero Dallapiccola), per non parlare della musica da film, delle canzoni popolari e dell'educazione musicale.

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Charlotte Ginot-Slacik, Michela Niccolai: la musica nell'Italia fascista 1922-1943, 372 p., € 24,00, Fayard, Paris 2019, ISBN 9782213704975

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